El Gugul: il luogo simbolo dei pescatori fanesi!
Siete pronti per scoprire un luogo poco conosciuto, ma ricco e pulsante di storia, tradizione e di vita a Fano? Oggi vi portiamo alla scoperta della parte più autentica della zona porto della città, più precisamente di El Gugul: il luogo simbolo dei pescatori fanesi!
Il porto di Fano: una tradizione che ha radici profonde
La storia del porto affonda le sue radici già in epoca romana ed è da sempre stato il cuore e il centro pulsante della Fano marinara, il destino e la storia di questa zona sono stati segnati nel tempo dal mare e dal suo porto – canale. La zona purtolota (del porto) è sempre stata autonoma e indipendente dal resto della città già da quanto, nel tardo settecento, i pescatori si trasferirono dal centro ad abitare le due rive del porto, dove nacque un quartiere extra muros che aveva tradizioni originali e un dialetto tipico caratterizzato anche dagli influssi esterni, per la frequentazione di altri porti dell’Adriatico. La comunità dei pescatori fanesi, chiamati i purtulòt, abitava rispettivamente nelle due file di casette ai lati del porto canale, una detta soravent (sopravento) e l’altra sott’vent (sottovento), non immuni a liti e a gare tra loro. Si trattava di una comunità orgogliosa, ma anche isolata e rissosa, profondamente cambiata nel tempo sia per abitudini, che costumi e modi di lavorare.
Il lavoro della pesca a Fano
Il lavoro della pesca è stato sempre il propulsore di questa zona della città e una volta era soprattutto artigianale e famigliare. Tutta la famiglia, solitamente molto numerosa, era marinara e impegnata in questa attività a diverso titolo:
- gli uomini salpavano per il mare;
- le donne si dedicavano a cucire le reti e le vele;
- i vecchi, invece, trasportavano il pescato che doveva essere venduto.
Di solito i marinai stavano in mare per 14 – 15 giorni, mangiando quello che pescavano che veniva cotto arrosto, lessato o in brodetto, da qui l’origine della ricetta tipica della tradizione gastronomica fanese.
Ogni marinaio era conosciuto con il suo soprannome, era infatti quasi impossibile rintracciare qualcuno con il suo vero nome, quelli più diffusi erano: Arturo del Blin, Gibìn, Furtuna, Fagiòl, Ruscìn…
L’attività di pesca si concentrava soprattutto nella stagione invernale, mentre in quella estiva le imbarcazioni trasportavano la ghiaia da Fano a Ravenna, Porto Garibaldi e Cesenatico.
Durante il tempo libero, quando non erano in mare, gli uomini stavano all’osteria a giocare a carte, i più piccoli invece animavano con i loro giochi la strada e le donne, alle prese con i lavori domestici, si ritrovavano a parlare sedute sull’uscio delle porte.
Oggi le cose sono cambiate, i pescherecci che praticano la pesca di foravìa (al largo) rimangono in mare solo 4 giorni, mentre le volanti partono alle prima ore del mattino e tornano alla sera.
El gugul: la storia che sopravvive
Nella memoria lontana legata alla pesca e al porto è rimasto vivo il ricordo di El Gugul (o cogollo), una rete-trappola che dà il nome alla piccola zona del porto che ora scopriremo insieme.
Il cogollo (gugullo) era, quindi, una rete a forma di imbuto che terminava in una sacca senza uscita, che sbarrava le acqua basse presso la riva obbligando i pesci a entrare in una serie di camere di reti successive.
Nei mesi di novembre – dicembre erano utilizzate per la pesca delle anguille, che venivano depositate vive nei burchi, una specie di imbarcazione con i fianchi forati immerse nelle acque, in attesa di essere vendute a Natale. Questo tipo di rete si poteva trovare al Lido, ma anche davanti alle foci dell’Arzilla e del Metauro.
La zona di El Gugul si trova in Via Vincenzo Franceschini, in una strada più nascosta rispetto alla passeggiata e alla vitalità del Lido e prende questo nome dalla sua forma che, come la rete, è a forma di imbuto. Oggi, le piccole case dei pescatori sono state restaurate e la via si caratterizza per un esplosione di vivaci colori e di decorazioni con immagini e oggetti legati alla storia e alla tradizione marinara che ricoprono le facciate delle abitazioni. Passeggiando per questa via potete anche imbattervi in nomi particolari: sono i nomi delle vecchie imbarcazioni.
Ma quello che si respira in questo luogo è la sensazione di convivialità e comunità che la caratterizzava. Alcuni residenti ci raccontano infatti che era molto usuale fare, tra le famiglie, delle lunghe tavolate dove si mangiava la rustita (un piatto tipico della gastronomia fanese che viene preparato con il pesce cotto arrosto impanato nella mollica del pane) fatta con il pescato giornaliero, in un clima gioviale e allegro. Il ricordo prosegue con tante storie di “gioiose diatribe” tra i vari pescatori caratterizzate sempre da uno spirito divertito. Tra queste vogliamo raccontarvene una: quella dell’asso di bastoni.
“ Il pescatore Andreano aveva la vela del suo peschereccio decorata con un asso di bastoni, simbolo di virilità, mascolinità e forza, in risposta a questo “affronto” Mario che non si sentiva di certo da meno, si fece cucire nella sua vela ben tre assi di bastoni, in una gara a colpi di vento per chi era il più forte. Per ribadire ancora di più questo concetto anche nelle entrare delle case dei due pescatori vi erano dipinti l’asso o i tre assi di bastoni. Perchè se in mare o a terra era importante ricordare chi era il più forte!”
Il senso di comunità e di reciproco aiuto erano le sensazioni che si respiravano a ElGugul, una zona dove tutti si conoscevano, anche se le cose oggi sono cambiate i residenti del luogo mantengono viva questa percezione restituendoci una via di Fano autentica, unica e colorata.
Sapete che l’influenza del Gugul è così forte che a Fano esiste anche un modo di dire? “So’ fnit in un gugul” per indicare di essere finiti in una via di difficile uscita.
Se volete conoscere una parte di Fano unica vi consigliamo proprio di visitare El Gugul, durante le vostre passeggiate sul lungomare e non prima di esservi gustati una deliziosa Moretta, che fra l’altro è la bevanda dei pescatori!
Informazioni
Info utili:
Itinerario “mare e porto” di Fano
Bibliografia e sitografia
Gabrile Ghiandoli, “Fano d’Antan”: una città tra il poetico e il becero
Immagine di copertina: El Gugul di Ramona Neri